Vai al contenuto

Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/156

Da Wikisource.

— 150 —


naturale, e la stupida sono stata io che non ho preveduto prima!

— Ma le prove?

— La prova l’avremo fra qualche ora, appena lui sarà di ritorno. Vedrai, che avverrà di me! Dopo tutto.... dopo tutto.... dopo la mia vita di lavoro e di sacrifizi! Ah, non meritavo questo, te lo giuro come se stessi per morire; io non mi sono venduta a lui; io sono vissuta con lui come la più casta e disinteressata delle mogli! Ed ora piango, non per calcolo, ma perchè mi pare che egli sia morto....

Chinò il viso, se lo coprì col grembiale e scoppiò a piangere: ed egli ebbe pietà di lei e le prese una mano, scostandogliela dal viso.

— Elena, si ricordi che io aspetto da lei una risposta.

Ella continuò a piangere; ma bastarono quelle parole per confortarla; si alzò e lo guardò negli occhi, e non s’illuse sul sentimento che lo guidava.

— Non ti pentirai, poi? Tu non puoi amarmi; son brutta e sciupata. E non ho denari, come tanti credono. Tu adesso hai una buona posizione, mentre io sono povera e sola, abbandonata da tutti....

Egli rispose con fierezza:

— Tutti la potranno abbandonare; non io.