Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/157

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— Ebbene.... ebbene.... se egli mi caccerà via....

— No! no! Secondo me, lei non deve aspettare d’essere cacciata via. Se non son frottole quelle che lei racconta, egli certo non vorrà perdonarle. Conosco l’uomo!

Ella si torceva le mani e gli si aggirava attorno come desiderosa e nello stesso tempo paurosa di appoggiarsi a lui.

— Frottole? Ah, no, pur troppo! È la verità, quello che ti ho raccontato. Vieni, vieni, Bruno, voglio farti vedere una cosa.

Lo condusse nella camera di Sebastiana, aprì un baule e cominciò a trarne stoffe, fazzoletti ricamati, pacchetti di cioccolattini, calze di filo, profumerie, merletti, una busta con alcune fotografie della ragazza e infine un astuccio di velluto con dentro la collana di zecchini.

— Questa.... questa.... — ella disse, traendola e spiegandola davanti al viso di Bruno, — questa collana.... la vedi? è di monete.... Ed io la conosco! Egli me la mise al collo.... una sera.... ma io non ero donna da farmi pagare; non ero un cane a cui mettere il collare! Gliela restituii; io non mi vendevo a lui. Ma egli ha trovato chi comprare!

Ella parlava ansando; cadde in ginocchio davanti al baule aperto, strappò la