Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/261

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— Oh, certo, essa ne ha!

— Il fegato l’abbiamo tutti! — rimbeccò Sebastiana, fissando il capo‐macchia: ella aveva lasciato cader la sua tunica, e col suo corsetto rosso e turchino, con le sue linee provocanti, sembrava una forma di bellezza e di luce venuta a rallegrare quei luoghi desolati e freddi. Bruno la seguiva con gli occhi mentre ella tornava nel bosco, e vedeva come una nuvola rossa danzargli davanti; e si domandava come mai Predu Maria, dopo tanti giorni di solitudine, non correva come un pazzo dietro a quella donna che era sua.

A un tratto, come spinto da una forza misteriosa, egli si alzò e si avviò, seguendo le traccie di Sebastiana. Gli sembrava di sentire il profumo di lei, di seguire un filo che ella avesse lasciato dietro di sè. La vide da lontano, curva a raccoglier le ghiande, su per una china soleggiata, dove l’erba invernale stendeva larghe macchie vellutate simili a pellicce verdastre. Le ghiande cadevano dagli elci scuri come grosse goccie d’oro bruno, lasciando sui ramoscelli le piccole coppe filogranate.

All’avvicinarsi di Bruno, Sebastiana si sollevò e apparve di profilo sullo sfondo luminoso dell’orizzonte. Egli si tolse di boc-