Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/262

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ca la pipa, la vuotò, se la rimise in saccoccia. La sua mano tremava. E nel salire l’erta, svelto come il daino che raggiunge la sua compagna, sentiva un’ebbrezza ignota e gli sembrava di esser un altro, un uomo potente e felice: ma appena Sebastiana disse:

— Predu Maria non viene? — egli si fermò, combattuto fra il desiderio di abbracciarla e la paura di quello che poteva succedere.

Ella indovinava i sentimenti di lui: scoppiò a ridere e disse con voce alquanto turbata:

— Perchè mi guardi così? Aiutami, piuttosto, poichè Predu Maria non vuol curvarsi! È tardi e devo andar giù. — Si curvò di nuovo, cercando le ghiande fra l’erba e le foglie secche; e accorgendosi che Bruno continuava a guardarla, ma timido e inquieto, sollevò il viso e rise ancora, provocante.

— Anche tu hai la schiena debole? Se non mi aiuti, che stai a fare? Sei incantato? A che pensi?

Egli cercava le parole per farle almeno sapere che pensava a lei. Trasse la pipa e la riaccese, ma dopo aver aspirato due o tre boccate di fumo, se la tolse nuovamente di bocca e disse come fra sè: