Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/33

Da Wikisource.

— 27 —


— Allora jaja mi ha regalato questo palazzo! — disse, beffandosi della sua casetta. — Per evitare questioni e perchè la gente non mormori, ha permesso a quelle diavole di cacciarmi via; essa però mi vuol bene e pensa a me.

— Beato te, che hai un appoggio! Io sono solo come un cane randagio. Del resto i miei parenti son poveri; che potrebbero fare per me?

— Ma che cosa credi, Gerusalemme? Che io viva alle spalle di una vecchia? Io lavoro, giorno e notte, — disse fieramente Antonio Maria.

— Anche di notte?

— Tu ti burli di me? Tu credi che io non lavori? Di notte, sì, ti dico, e non andando a rubare, intendiamoci!

Egli prese in mano la bottiglia dell’acquavite e la scosse; allora il Dejana capì.

— Tu fabbrichi l’alcool di nascosto? Guadagni molto?

— Eh, non c’è male. Guadagnerei di più se non avessi tanti amici che vengono qui a bere come ad un pozzo!

— Gli amici! — disse il Dejana, pensieroso. — Tu hai degli amici?

— E tu non ne hai? Io chi sono? Un tuo nemico?