Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/354

Da Wikisource.

— 348 —


S’alzò, ma Antoni Maria, nonostante i fumi del vino che ancora gli offuscavano la mente, capì che una fosca tragedia stava per compiersi, e decise di impedirla. Si mise davanti alla porta e disse gravemente:

— Rifletti bene, prima, Predu Maria Dejà! Assicùrati coi tuoi occhi, e anche quando ti sei assicurato pensa bene a quello che devi fare. Ti ho forse ucciso, io? Eppure tu mi hai tradito, e l’amico è più che la moglie.

Predu Maria tornò a sedersi, e di nuovo curvò la testa abbandonandosi sopra sè stesso; allora l’altro gli si avvicinò, e confortandolo e tormentandolo nello stesso tempo continuò a rinfacciargli l’ospitalità tradita, i consigli disprezzati, il crimine commesso.

— Quello che ora ti succede è il castigo, Predu Maria Dejà! Pensaci e rasségnati. D’altronde, che puoi fare adesso? Ucciderli? E quando li hai uccisi? Ti rovini, ritorni in galera e di là vai dritto dritto all’inferno.

Predu Maria emise un gemito selvaggio e si morsicò i pugni.

— Perchè non mi uccidi, tu? — domandò sottovoce. — Fallo, su! Ecco il coltello; tagliami le vene dei polsi: io lascierò una dichiarazione scritta che mi sono ucciso io.