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sciuti e che quell’attimo doveva segnare un punto forse decisivo del nostro destino.

Egli fu il primo a riprendersi: sorrise, un sorriso ironico e triste che lasciò vedere i suoi denti bellissimi ma spettrali, e con una voce dura che già conoscevo disse:

— La prego di scusarmi se, involontariamente, la ho disturbata.

Sì, era la voce del notaio, con una vibrazione più viva, ma egualmente sarcastica.

Sì, questo era dunque Gabriele, alto e bello, vestito con eleganza correttissima, serio e beffardo.

Io mormorai qualche cosa, spaventata dall’accento di lui, da quei denti luminosi, che rischiaravano il suo viso scuro e glabro, ma sopratutto dal suo sorriso: ed il pensiero che egli dunque sapeva sorridere mi pareva quasi la rivelazione di un mistero.