Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/101

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Non potevo più dormire. Un giorno mi guardai nello specchio dell’armadio della zia, per vedermi indosso un vestito nuovo di tela ch’ella mi aveva fatto fare per l’estate: mi vidi grande e grosso più del solito, col viso grasso e colorito, le mani bianche, ed ebbi vergogna di me stesso.

Quella sera uscii; andai verso il mare. Era una notte di luna, d’una chiarezza inesprimibile: il paese era pieno di gente venuta per i bagni di mare; tutti sedevano fuori delle porte, e lungo i marciapiedi chiari di luna passeggiavano coppie di ragazze vestite di bianco, che si stringevano alla vita e si facevano delle confidenze; così bianche, così morbide che parevano le coppie dei colombi bianchi della zia.

I giardinetti lungo la strada odoravano di oleandri, e la luna era così vivida che si distingueva il colore dei fiori.

Giunto in fondo mi fermai, stordito. Davanti a me sul mare immobile il lungo riflesso della luna pareva una strada luminosa in proseguimento della mia.

Andai, andai, fino a toccare l’acqua col piede: no, non si poteva andare oltre; bisognava o affogare o tornare in casa della zia.

Mi buttai sulla sabbia, disperato, come mi ero buttato sull’orlo della strada davanti al mio terreno.