Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/105

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Eppure mi sembrò che fingesse un poco, o almeno esagerasse.

Speranze e gioie confuse mi attraversavano il cuore. Ecco che anch’io ero diventato uomo; qualcuno mi accusava di una colpa, ed io ero pronto a confessare, a riparare, a ricevere il castigo.

La zia a poco a poco si riebbe: l’uomo non cessava di guardarla, in apparenza mansueto e un po’ afflitto: ma io lo vedevo sorridere fra le sue rughe, e mi accorgevo che egli non badava più che tanto a me: la zia era la vera responsabile, davanti a lui: quella che doveva rispondere per me e pagare per me.

Questo m’irritava. Stringevo i pugni, sotto il tavolino: — Secondo quello che accade, ti accorgerai chi sono io — dicevo con gli occhi al piccolo uomo.

La zia mi chiese il taccuino, con un gesto teatrale. Esitai a trarlo: e quando glielo diedi non ritirai la mano per essere più pronto a riprenderlo.

Le parole che lessi tornarono a turbarmi fino al profondo delle viscere; mi sembrò che fossero scritte in rosso.

“La ragazza è incinta”.

Io scrissi lentamente, con caratteri chiari e fermi: