Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/104

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L’uomo mi fissava senza salutarmi: la zia tese la mano verso di me, guardandolo e dicendogli qualche cosa.

Nonostante questa presentazione egli non mi salutò, non si mosse. La zia allora mi accennò di sedermi. Sedetti, in faccia a lei, davanti al tavolino. Mi pare ancora di vederci, tutti e tre, intorno a quel tavolino in mezzo al quale ardeva una lampada a petrolio che fumava: l’ombra mia e quella della zia si stendevano dietro di noi, atterrate, sul pavimento, mentre quella dell’uomo si disegnava sulla spalliera del divano e sulla parete, grande e minacciosa.

Eppure io non avevo più paura: anzi d’un tratto mi ero rinfrancato, sollevato. Ecco che finalmente qualcuno era venuto: il mio presentimento d’attesa si era avverato.

— Sai di che ti accusa quest’uomo? — chiese la zia.

Mi guardò fisso, scuotendo lievemente la testa: pareva mi consigliasse a rispondere di no.

Io accennai con la testa di sì.

L’uomo guardò la zia, ergendo d’un tratto la piccola testa serpentina: la zia abbassò la sua, abbandonando le mani sui fianchi.

Pareva l’avessero colpita, ferita, e dovesse stramazzare.