Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/103

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non volevo commuovermi più, volevo essere un uomo.

Spinsi bruscamente la porta: e subito mi fermai con un misterioso senso di terrore e di gioia nel cuore.

Un uomo vestito di fustagno turchino, con le grandi mani ossute appoggiate a un grosso bastone, sedeva sul divano del salottino: pareva stanco, col viso scuro tutto righe reclinato sulla spalla destra.

Appena mi guardò mi accorsi che i suoi occhi turchini rassomigliavano a quelli di Fiora: lo sguardo pareva mite, umile, quasi supplichevole, eppure io ci sentii subito qualche cosa di crudele, di freddo, che m’impaurì più che lo sguardo alterato della zia.

La zia sedeva accanto al tavolino rotondo posto davanti al divano, ed era rossa in viso come non l’avevo mai veduta.

— Sa già tutto, — pensai, — ebbene, meglio così.

E andai dritto, con l’impressione che una mano mi spingesse violentemente davanti a quei due, come un accusato davanti ai giudici: non potevo difendermi con la voce, ma tutta la mia persona si tendeva in atto di protesta; e vedevo delle scintille, che mi sembravano il riflesso dei miei occhi splendenti di passione.