Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/115

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Ha sulle spalle una rete, gonfia come una vela, e in mano una specie di tridente: un cappellone di paglia copre i suoi capelli bianchi e arruffati come un’onda di spuma. Se ne va calmo, forte sui suoi piedi d’elefante e tuttavia con un’andatura un poco ondeggiante che pare imiti il movimento d’una barca.

Spinto da un’idea confusa io gli vado appresso finché gli sono alle spalle e lo costringo a voltarsi, a vedermi. Gli stavo così addosso ch’egli sulle prime credette che l’avessi fatto per sbadataggine. Ma io lo abbracciai: allora il suo viso d’un rosso scuro, tutto rugoso, si coprì come di una patina lucente: sorrideva.

Aveva tutti i denti intatti, di vecchio lupo, e gli occhi del colore del mare. E comincio a farmi dei cenni con la testa domandandomi dove andavo e che cosa volevo.

Gli accennai che cercavo di lui. Di lui? Si fermò, fermandomi per il braccio.

Trassi il taccuino e scrissi:

“Ho bisogno di lavorare”.

Ma egli non sapeva leggere; e me lo fece sapere in modo grottesco, chiudendo gli occhi e battendo il dito sul taccuino per indicarmi che non vedeva la scrittura.

Allora io feci atto di chi conta monete e mi battei