Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/122

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a coltivarlo. Ella si scosse tutta, e mi sembrò sulle prime si rallegrasse all’idea di liberarsi di me: poi le vidi gli occhi pieni di lagrime. In quel momento mi accorsi che mi voleva bene: come alle sue bestiole, forse, ma insomma mi voleva bene.

Mi preparò il cestino per il viaggio, come l’altra volta, e mi offrì del denaro: presi il primo, ma non accettai altro. Più tardi la zia mi disse che aveva sempre creduto che viaggiassi a piedi.

Ed eccomi di nuovo sulla strada dritta interminabile che all’orizzonte pare si ficchi nel cielo: ma adesso è tutta d’un bianco che fa male a guardarlo, e le macchie e i cespugli da una parte e dall’altra sembrano coperti d’un nevischio sporco, tanto son polverosi.

Una tristezza e un’arsura da deserto: e in tanta desolazione la casa e i campi di Fiora appaiono davvero come un’oasi.

Io passo a testa bassa, rasentando i muri e le siepi per non farmi vedere, avviato dritto al mio terreno; i portoni della casa sono aperti e con la coda dell’occhio vedo gente: una donna che scopa, un ragazzo che gioca con un cane. Sfuggo alla loro attenzione, ma più in là incontro dei mietitori con falci in mano, e anche nei campi vedo uomini che lavorano.