Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/123

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Gran parte del campo era mietuto: i covoni del grano stavano al sole, e i mucchi del fieno al confine del prato parevano, sull’azzurro dello sfondo, piramidi dorate. Fra tutto quel giallo la vigna spiccava più verde, ed in alcuni filari le viti piegate ad arco s’inseguivano l’una intrecciata all’altra come una pianta sola: e i grappoli pendevano gravi, con gli acini già tinti di viola.

Per la prima volta pensai che Fiora era ricca; eppure lei stessa me lo aveva fatto ben capire, quel giorno! Mi feci triste, vergognoso; una specie di timor panico mi prese: avevo paura che il nano mi vedesse e mi rincorresse come un ladro: tanto che andai oltre, fino al bosco.

Lassù tutto era ancora frescura e solitudine. Mi gettai sull’erba, all’ombra ridente dei pioppi; il venticello del pomeriggio cominciò a scaturire di lassù, dalle cime argentee, come per farmi piacere, e andò nel prato di Fiora: ritornò con l’odore del fieno, mi avvolse, mi confortò.

Questa volta sentii che proprio ero nato per vivere all’aperto, foglia tra le foglie, granellino di terra nella terra. Perché aver paura degli uomini? Il terreno mio era mio, e nessuno poteva proibirmi di entrarvi e di restarci. Se mi facevano del male peggio per loro: male più male di quello