Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/124

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che mi facevano col destarmi paura non poteva essere.

Il vento mi diceva tutte queste cose, col suo alito e il suo profumo: e quando mi fui ben riposato e rifocillato (questa volta però non bevetti) tornai indietro sicuro ed entrai nel mio terreno.

Eppure il cuore mi batteva, nell’avvicinarmi al punto dove avevo preso Fiora; il cuore mi batteva, e il desiderio di rivedere la ragazza, il rimorso, la stessa vergogna di aver peccato bestialmente mentre tutto in me era sogno e bisogno di elevazione, mi facevano di nuovo vedere rosso.

Di nuovo sono a terra: la rabbia della mia impotenza mi riprende, e con essa la vergogna di aver paura di tutto e di tutti.

Mi pareva che il cielo sopra di me s’iniettasse di sangue, come un grande mite occhio azzurro d’un tratto divenuto feroce. Quando mi alzai mi parve di essere alto, sempre più alto, sino a dominare ogni cosa intorno a me, dall’altura del mio terreno, come dalla cima di una montagna.

Il sole tramontava: nel campo gli uomini lavoravano ancora, curvi, piccoli piccoli: anche la casa colonica coi suoi vetri scintillanti mi pareva una casetta di cartone e di perline: mi sentivo così