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Mi ricondusse a casa e si mise a discorrere con la zia: l’aspetto tranquillo di lei mi assicurava ch’egli non le diceva nulla del mio triste tentativo.
Si cenò come le altre sere, come se io tornassi dal mio solito vagabondare: la zia mi riempiva il piatto, mi accennava sempre se ne volevo dell’altro: io mangiavo, ma sempre più avvilito; avevo vergogna di tutto, oramai, vergogna di non aver neppure saputo morire.
E il mio rancore si riversava adesso tutto contro la zia. Perché la zia non mi scacciava di casa? Se mi scacciava, forse riuscivo a trovare da vivere o da morire sul serio.
E quello che più mi agitava, in fondo, era l’accorgermi che i suoi sentimenti a mio riguardo erano mutati: i suoi occhi mi guardavano con un’espressione nuova, furtivi, inquieti, d’un’inquietudine che ella però cercava di nascondere: solo gli occhi di una madre possono guardare così.
E io sentivo quell’atmosfera gelida che prima gravava su di me