Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/149

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egli l’aveva dato da leggere a qualcuno.

Vibrai di collera; egli restava calmo, con le mani possenti posate sulle braccia nude.

E la cosa pareva finita lì, quando sul tardi, nel tornarmene a casa, m’accorsi ch’egli mi seguiva. Aveva la fiocina, il cestino e la rete, come quella malaugurata mattina in cui mi ero rivolto a lui per aiuto.

Mi raggiunse davanti alla drogheria e mi prese per il braccio: e prima che avessi capito che cosa voleva, mi fece entrare: non nella drogheria, però, ma in uno strettissimo corridoio che conduceva al giardinetto della casa: un giardinetto che sembrava un cestino di fiori, tutto fronde lievi intrecciate a reticolati di canne.

Sotto il pergolato ancora carico d’uva stava una tavola di marmo sulla quale si disegnavano le ombre delle foglie e dei grappoli; e accanto si sedeva, lavorando a maglia una sciarpa di lana, una donna bionda grassoccia, con gli occhi grigi sognanti; vestiva un camice turchino scollato in quadratura che le dava un’aria di Madonna un po’ anziana ma ancora piacente.

Ma quello che più mi sorprese fu il vedere che anche là dentro c’erano gatti, conigli, piccioni.