Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/18

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fosse al disopra di tutte, anche della chiesa. Solo un’altra potenza dominava la sua, ma era una potenza morta: la torre in rovina di un antico castello.

La strada si faceva sempre più ripida, illuminata dal chiarore che il fanale versava dall’alto spandendolo anche sulle siepi e gli alberi intorno.

Un odore di erica, un silenzio sempre più fitto dànno l’impressione di andare su in cima a una montagna. E la casa lassù, sul suo spiazzo di pietra, col muro di cinta ricoperto d’edera, il portone ferrato, che dà luce col suo fanale, ma rimane nell’ombra a spiare come con una lanterna cieca, ha più della fortezza che del palazzo.

Un cane abbaiò dentro; poi tacque riconoscendo il rumore del calessino: tuttavia Davide dovette battere tre volte al portone e far sentire anche la sua voce perché qualcuno si decidesse ad aprire.

E chi apriva non si dava fretta: lo si sentiva levare i ganci che assicuravano meglio i battenti del portone, e tirare il paletto e il catenaccio e girare con cautela la chiave nella serratura.

Finalmente uno dei battenti si aprì un poco: apparve, nel vano misterioso, una figurina di vecchia: piccola ma diritta e dura, col viso tutto a punte aguzze circondato da una specie di cappuccio