Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/19

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nero, e un mazzo di chiavi in mano, pareva la custode di un luogo di leggende.

I suoi occhietti neri lucenti come quelli di un uccello distinsero subito l’insolito fagotto che Davide senza lasciarle tempo di domandare di che si trattava, le gettò fra le braccia, quasi di sorpresa e come con l’intenzione di spaventarla un po’ per burla e un po’ sul serio.

— È un bambino, sì, è un bambino — egli disse, aprendo tutto il portone per far entrare il calesse. — L’ho trovato smarrito nello stradone: bada che è ferito. Scostati, Elisabetta! — gridò poi; ma la vecchia rimaneva come impietrita sulla soglia, palpando il misterioso fagotto, e tentando di vederlo meglio alla luce del fanale. Pareva non prestasse fede ai suoi occhi: non domandava spiegazioni, però, e una volta accertatasi che quello che teneva in braccio era proprio un bambino, e che non c’era altro da fare che portarlo dentro, richiuse il portone riassicurandolo col gancio, i catenacci e i paletti, e mentre il padrone staccava il cavallo ella rientrò nella cucina.

Cucina che sembrava una sala; alta, a volta, col pavimento di legno, e cassepanche e madie antiche che parevano mobili di sagrestia.

Una donna ancora giovane ma con gli occhi incavati