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Volevo battere alla porticina, farmela riaprire, entrare e portar via l’involto bianco: se non mi lasciavano fare rompevo ogni cosa intorno: ma un filo di ragione mi guidava ancora. — Adesso rientro in casa e dico tutto alla zia, — pensavo, — provvediamo assieme, ci riprendiamo senza violenze la creatura.
E rientrai; la zia era ancora immersa nel suo sopore ardente, col viso grigio fra i capelli grigi, gli occhi che si aprivano e chiudevano con un moto incosciente, come quelli di un neonato: e io non osai farle sapere nulla.
E non osai neppure l’indomani e neppure nei giorni seguenti, sebbene ella andasse migliorando e di tanto in tanto m’interrogasse con gli occhi.
Doveva aver fatto i suoi calcoli, lei, e sapere che la creatura a quell’ora era nata: e mi spiava in viso i segni della verità, ma non mi diceva nulla: forse anche lei non osava o non aveva la forza di parlare; o aspettava per orgoglio che ricorressi io a lei per aiuto. O forse erano tutte