Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/198

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illusioni mie: chi sa mai niente di vero dei pensieri altrui?

Se non sappiamo mai nulla di preciso neppure dei nostri!

Il fatto è che io continuavo ad assisterla con pazienza, col desiderio che guarisse presto, e nello stesso tempo le auguravo la morte. Adesso mi sembrava d’essere legato a lei e di non potermi più muovere per riguardo suo: o almeno alla superficie la incolpavo di questo, mentre veramente desideravo ch’ella morisse per restar solo nella casa e prendermi la bambina. Null’altro oramai esisteva per me: non pensavo più alle donne, all’amore, al mio avvenire: volevo la bambina perché era mia, perché era giustizia che l’avessi. Il pensiero di riprenderla non mi abbandonava un momento.

Un giorno andai a vederla. Entrai senza picchiare, avanzandomi fino all’uscio della stanza che ben conoscevo. E dapprima mi parve di sognare, o di aver sognato, perché nulla era mutato in quella stanza: la moglie del mio creditore lavorava seduta accanto al braciere, la sua fisionomia era la solita, e solo si alterò al vedermi, ma di un turbamento che mi parve più di sdegno che di affetto. Subito però si dominò, mi accennò di avanzare.