Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/202

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punto già ricoperto d’erba così fina che si aveva timore a passarci sopra, come sopra un tappeto nuovo. E che toni di verde giallino luminoso nelle chiome dei pini e in certi ciuffi di cespugli contorti che avevano appena cessato di combattere col vento marino e si abbandonavano ad una dolcezza stanca di convalescenti!

Nuvole bianche e dure come grandi uova si posavano qua e là sulle cime dei pini: così basse che pareva bastasse arrampicarsi sugli alberi per toccarle e tirarle giù; mentre il cielo invece era alto e d’un azzurro brillante che quasi non si lasciava fissare. Ricordo tutto, di quel giorno, come di tanti altri giorni della mia vita: giorni che sono come i quadri meglio riusciti nella lunga monotona serie dei quadri dei nostri giorni, quando la nostra figura si stacca gigantesca sul paesaggio che la circonda, per dominarlo meglio e immedesimarlo nel suo dramma.

Ed ecco che mentre sto per arrivare alla casa del dottore vedo una donna, una contadina piccola ma forte: ha in braccio una bimba di circa tre anni che pare morta, tanto s’abbandona, con le manine gialle pendenti e la testolina bionda scarmigliata, sull’omero della madre.

La raggiungo, nel sentiero sabbioso che va allargandosi sempre più, e mi metto a camminare