Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/212

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vetri hanno un vago bagliore misterioso: riflettono la mia ombra, hanno qualche cosa di vivo, come occhi che vedono ma capiscono il perché delle cose e compatiscono; il diavolo mi aiuta e mi spinge: la stanza è chiusa, illuminata solo dal chiarore della strada, dal biancore della culla. Io ho un’ultima esitazione; mi chino, sento l’odore tiepido del latte, delle piume calde; mi viene da piangere, ho paura di rompere la bambina col solo toccarla...

Poi la presi quasi con violenza, strappando con lei la coperta e avvolgendola rapidamente perché non sentissero se si metteva a piangere. E fuggii.

Ebbi subito l’impressione di essere inseguito. Forse non lo ero ancora, ma bastò l’impressione per farmi camminare più rapido stringendo a me il misterioso fagotto: e mi pareva sempre che la bambina piangesse: sentivo i suoi lamenti dentro di me, ed erano invece i gridi del mio cuore, i battiti del mio sangue sconvolto.

Seguivo senza voltarmi la strada verso la pineta: