Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/211

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corridoio era aperta; e nel quadrato di luce, in fondo, si movevano delle ombre.

Forse i Tobia non erano ancora a tavola: bisognava aspettare qualche momento. E io ebbi il coraggio, la calma di aspettare, lì davanti alla loro porta, finché il movimento delle ombre cessò. Dopo tutto non andavo a fare nessun male: perché aver paura?

Eppure perché desideravo che la persiana fosse stata chiusa? All’ultimo momento mi tornavano in mente tutte le difficoltà a cui andavo incontro con l’incaricarmi della bambina: avevo anche paura di farle del male, avevo l’impressione che ella dovesse pesarmi... Ero stanco per la corsa già fatta: nulla avevo mangiato da tante ore; ero attirato laggiù verso il mare dalla frescura notturna, dall’occhio smeraldino della stella... Andar laggiù... Buttarmi sulla rena; dormire, lasciar dormire... Tutte cose superficiali, pensieri inutili, ombre vane; qualche cosa di più forte mi tiene, in fondo: il proposito di riuscire nel mio intento.

E faccio alcuni passi: rasento il muro: tocco la persiana: la persiana cede, viene a me; ho l’impressione che abbia tenuto il segreto, che voglia aiutarmi: spingo l’imposta, l’imposta cede, va in là, come scostandosi per farmi largo: e i