Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/215

Da Wikisource.

Dio può ormai togliermi la mia bambina dalle braccia.

Piuttosto cominciai a impensierirmi per l’immobilità, per l’abbandono di lei: ma che poteva fare, lei povera creatura, povero uccellino nudo appena nato e tolto dal nido? Se piangeva non la sentivo; agitarsi non poteva. La scoprii di nuovo; non la distinguevo bene, nell’ombra, ma tornai a palparla; era tiepida, col visetto molle tutto bagnato di latte, con gli occhi chiusi. Aveva un sonno ben profondo!

L’aggiustai meglio, cercando di metterla in quella posizione che le donne usano dare ai bambini quando li allattano, e le lasciai il viso scoperto. Faceva quasi caldo, o almeno mi sembrava così per il calore che io stesso sentivo: potevo lasciarla respirare: avevo paura di soffocarla: una paura strana che m’era venuta ad un tratto, che saliva da un angolo oscuro del mio essere e m’inseguiva come poco prima la forma minacciosa balzata dall’ombra della pineta.

Ma perché questa paura, incalzante, insistente, se la bambina era tranquilla, e scoperta, adesso?

Vado, vado, non penso più neppure all’uomo che m’insegue; non penso che ad arrivare in fondo alla pineta,