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Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/85

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profittava dell’abbandono in cui il luogo era lasciato.

La rabbia mi riprendeva; scostai i rami ed entrai. Ma forse m’ingannavo. L’erba cresceva folta dovunque, non calpestata; in alcuni punti così alta che pareva frumento; le ortiche arrivavano a pungermi le mani, e le spighe selvatiche mi si attaccavano alle vesti. Tutto questo cominciò a darmi un senso confuso di piacere: mi pareva che tutte quelle cose mie si facessero vive in quel modo per salutarmi; prendevano possesso di me come io prendevo possesso di loro: con dolore, con amore selvaggio.

E d’un tratto quell’istinto primitivo di proprietà che solo mi aveva deciso ad entrare, si accese e si addolcì in me. Mio, quel pezzo di terra era mio; il sole che vi batteva era mio; potevo fare quello che volevo, là dentro.

Non mi sentivo più solo nel mondo. Feci tutto il giro della siepe: varchi rattoppati con rami, come quello dove ero entrato, si ripetevano qua e là; tutta la siepe, del resto, era malandata, vecchia di chi sa quanti anni: neppure dove confinava coi campi della casa colonica era stata rinnovata, anzi era più bassa e cadente che dagli altri lati.

Arrivato là davanti mi fermai a guardare i