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Il nome del fiume 111

che è l’unica responsabile di tutto e deve provvedere a pagare, con le scarse rendite di un vasto patrimonio incolto, la tassa di successione del padre, le imposte e tutti gli altri obblighi.

Le tasse e tutto il resto pagato, pochi denari rimangono in casa; si deve vivere quindi con le provviste casalinghe che danno un ottimo ma preistorico pasto, a cominciare dal pane biscotto e le carni salate del maiale e terminare col formaggio pecorino rosso come la cera vergine, e le olive violette e amarognole come il fiore del radicchio. Chi si accorge di tutto questo? Inquietudini, privazioni, disagi del tempo cattivo, sono coperti dal velo iridescente della speranza: ogni settimana è segnata da una tacca sullo spigolo dell’anta del camino e questa misteriosa scaletta sale e sale verso il punto ove batte, nelle belle giornate, un occhio di sole.

Ma le belle giornate sono rade e accompagnate dalla tramontana che coi denti di lupo morde i muri; ed ecco ricade la neve e il suo peso fa scricchiolare il tetto: bisogna puntellarlo, il tetto, e si vive così, come gli abitanti delle palafitte nei primi albori dell’umanità in consorzio.

Ad accrescere l’impressione di questa vita sull’acqua corrente, una vena si apre davvero nella cantina e la inonda, e ci travolgerebbe come le lepri dei boschi fiumani se non si provvedesse a un tubo di zinco che fa scolare l’ac-