Pagina:Deledda - Il sigillo d'amore, 1926.djvu/135

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PICCOLINA.


In quel tempo — raccontò la mia amica, — io non entravo in cucina che due o tre volte al mese. Ad ogni modo il mio domestico Fedele si teneva sempre pronto, poichè la mia visita alla cucina segnalava un cataclisma. Si teneva pronto, vale a dire stava davanti ai fornelli anche se non cucinava, col grembiale pulito, e tutto intorno ordine perfetto.

Sulla tavola coperta da una tovaglia ricamata verdeggiava, entro un vasetto di terra, una pianticina di capelvenere; i recipienti appesi alle pareti erano in parte misteriosamente avvolti in fogli di carta velina; e la stessa cassetta per le immondezze, nell’angolo dietro l’uscio, col suo bravo coperchio lucidato, pareva un mobile da salotto.

La finestra poi, socchiusa, lasciava intravedere un fresco ciclo turchino di tramontana che faceva dimenticare di essere nel cuore di un grande casamento nel centro di una grande metropoli.