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ad uscire, decisa di fingere di dimenticare la scena della mattina.

La sera scendeva triste e scura: il vento soffiava con violenza, velando col suo rumore i rumori della città. Nessuno venne a trovarmi, quel giorno, perchè io non avevo amici abbastanza affezionati da ricordarsi di me anche nelle cattive giornate: nè io me ne dolevo. I miei veri amici, in quel tempo, erano i libri belli; e di questi ne possedevo molti. Quando le lampade furono accese ripresi dunque a rileggere Anna Karenine: i casi di questa infelicissima donna, che mi avevano sempre interessato come quelli di una persona di mia conoscenza, quella sera mi lasciavano indifferente. Il rumore del vento richiamava la mia attenzione; e mi pareva di veder giù nella strada correre la gente, gli uomini tenendosi fermo il cappello in testa e le donne con le vesti svolazzanti: qualcuna di esse, forse, correva nella bufera, verso l’amore e verso la morte, come l’eroina del mio libro. E il ricordo di quel terribile senso di solitudine, ch’ella prova durante la sua ultima passeggiata, quel senso di vuoto e d’inutilità della vita anche se felice, mi tornava al pensiero: quante volte, senza aver amato e sofferto, o appunto per questo, avevo pure io sentito qualche cosa di simile!

E anche quella sera mi sentivo sola, nel vento, come in cima a una torre sopra un luogo