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Il pastore di anatre 217



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La madre di Polino, con un fazzoletto nero legato intorno alla testa in segno di lutto, lo accolse quasi con ostilità. Il dolore la rendeva cattiva; le faceva odiare tutti i bambini rimasti nel mondo, mentre il suo se n’era andato non si sa dove. Pino aveva sperato di ricevere almeno, per buona entrata, una fetta di polenta calda con un pezzetto di burro: invece gli fu messa in mano una lunga fronda di salice, e gli furono subito presentate le anatre.

— Le vedi? Sono dodici. Contale un po’. Sei buono a contare?

Egli non era certo di contarle senza sbagliarsi, ma ricordò le avvertenze della madre e rispose franco di sì.

— Allora le conduci qui nel prato sotto l’argine, verso il fiume: se hanno voglia di entrare in acqua lasciale entrare; purchè non vadano lontano. A mezzogiorno ritorna su. Bada che ci siano tutte. Hai capito? Tutte.

I modi di lei erano così bruschi che a Pino veniva voglia di svignarsela senz’altro; ma ricordava il rimbombo di tamburo delle sue spalle quando il padre gli dava senza risparmio le busse; e per non risponder male alla