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228 il sigillo d'amore



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Per ordine del padrone, il bifolco partì dunque un giorno, per condurre il toro nella stalla di un mercante di bestie da macello. Ed era triste, l’uomo, perchè voleva bene al grande animale che lo seguiva docile come un cane al guinzaglio. Per non spaventare le donne e i bambini, percorrevano di buon passo le strade meno frequentate; ma quando in una di queste, che pareva una gola di montagna, tanto era incassata fra due siepi scure alte e fitte, con gli sfondi lontani azzurrini, apparve un piccolo tabernacolo ricoperto d’edera, l’uomo vi si fermò davanti, facendosi il segno della croce, e parve incantarsi come un bambino a guardare attraverso le sbarre del cancello. Vi si vedeva solo un piccolo altare e, sopra, sulla parete verdastra ed umida, tra fiori di carta che parevano strane farfalle morte, un quadro sbiadito dove un avanzo di San Cristoforo dava da mangiare ad un avanzo di cervo; eppure il bifolco aveva l’impressione di trovarsi davanti ad un bosco incantato, con le fontanelle d’oro dei lumicini accesi ai piedi dell’altare: poichè i migliori ricordi della sua vita svolazzavano là dentro come gli uccelli fra la siepe sovrastante.