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della cornacchia: pareva se ne fosse dimenticato. Ma quando io, accostando la sedia per sedermi accanto al suo letto, dissi che non avevo permesso a Lauretta di portarla via, si animò lievemente. Di nuovo parve contrariato.

— Perchè? — domandò scuotendo la testa sul guanciale. — Sporca troppo.

— Ma no, poverina: se ne sta tranquilla sul suo bastoncino, sopra la cassetta aperta. Le ho dato io da mangiare e da bere; non ti preoccupare. Dimmi piuttosto cos’è che ti senti. Che dice il dottore?

— È la polmonite; null'altro. Passerà.

— Passerà, — ripeto io con fiducia. Ma l’aspetto di lui non mi piace. Adesso egli è calmo, rassegnato: non ha tosse e neppure difficoltà di respiro: i suoi occhi guardano verso la finestra, senza vedere il pesco fiorito, come aspettando di là un segno misterioso; ma questo suo raccoglimento, questa sua indifferenza per me e per le cose che gli vado stentatamente dicendo, e sopratutto il calore intenso che si spande dal suo corpo come se dentro tutto gli si arda e consumi, mi preoccupano più che se egli si agitasse e lamentasse.

Solo quando accennai ad andarmene e gli chiesi se aveva bisogno di nulla, se dovevo regolare io i conti con la direzione della clinica, si agitò alquanto.