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damente, tenendo la carne fra le mani e strappandone grandi morsi coi denti incisivi.
Egli s’alzò e mangiò in silenzio; poi si gettò di nuovo sul sacco e chiuse gli occhi. Ma non potè raccogliersi come prima: attraverso il sogno gli arrivavano le chiacchiere sommesse dei giovanotti, le loro risate represse, il tintinnir dei bicchieri e il russare dell’ebbro. Ma a un tratto questi si stiracchiò, sbadigliò, e senza aprir gli occhi chiese:
— Che ora è? Imbrunisce?
Gli altri risero: egli aprì gli occhi stupiti, si sollevò e ricadde.
— Chi è questa gente? Dove siete, fratelli miei, dove siete? Io non vi vedo. Dove sono io?
— Sei nella vigna, fratello mio. Dormi, dormi.
— Io ubbriaco, io? — Egli si sollevò di nuovo, puntando i pugni all’indietro sulla stuoia: e i suoi occhi rossi avevano un’espressione minacciosa. — Chi sei tu, nemico?
— Zitto! se tua madre si sveglia! — disse zio Bakis agitando le braccia spaventato.
— Mia madre? Chi è mia madre? Do-