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— Vi lascio con Gesù e con Maria, me ne Vado.... — salutò alquanto ironico Melchiorre, e scappò via mentre zia Bisaccia, aggirandosi su sè stessa, guardava da capo a piedi l’ubbriaco.
Melchiorre, che era venuto e se ne andava a piedi, sentì gl’improperii e gli urli coi quali la madre accoglieva il figliuolo, e disse a voce alta:
— Lo dia a sua nipote, quello lì!
Era notte; la luna alta sul cielo illuminava i bassi tetti delle casupole e le viuzze erbose: gli alberi e i cespugli degli orticelli e dei cortiletti di Sant’Ussula stendevano la venatura dei loro rami ignudi sullo sfondo azzurro-latteo dell’aria; canti rauchi d’ubbriachi risuonavano in lontananza.
Pareva una notte d’autunno; e in quella luce, in quella trasparenza lunare, Melchiorre, dopo tante emozioni, sentiva i muscoli agili e avrebbe voluto correre e saltare come un giovine cervo. Da quanto non si era sentito così felice! Gli pareva di volare.
Ogni pulsazione dal suo cuore diceva:
— Paska, Paska, Paska, Paska.... Come è bella; come le voglio bene! Sarà mia!