Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/108

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intorno a me come rondini spensierate, e mi sorridono, vagamente, con gli occhi neri e azzurri e la bocca fresca dell’aria di questa bella mattinata.

Tutto mi sembra bello, oggi, tutto è lucidato dal sole e dall’atmosfera piena di promesse ma non so dove dirigermi; e mi pare quasi un segno del destino quando vedo tornare dal mercato il lungo parroco che con dignità distratta porta da sé il fazzoletto della spesa gonfio di roba: vi fa capolino, da un cartoccio semiaperto la coda di un pesce; e il viso, di solito alquanto arcigno e scuro del prete, s’inazzurra anch’esso, non so se per il riflesso del tempo, o per la beatitudine dello straordinario acquisto. Poiché qui, di pesce non si vedono che le trote del fiume, nella loro stagione; e mi rallegro anch’io pensando che oggi forse potrò avere una porzione dell’insolito cibo.

Saluto quindi don Achille, con rispetto e cordialità quasi filiale; ed egli mi risponde alzando la mano chiusa, con solo l’indice e il medio aperti come quelli della mano sulla facciata della chiesa che benediva i pellegrini di passaggio. Allora decido di seguirlo; anzi mi metto al suo fianco, col fare untuoso di un aspirante chierico, e dico sottovoce:

– Se mi permette, reverendo, vorrei chiederle un favore: cioè di farmi visitare la chiesa,