Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/109

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ma nelle ore in cui non c’è gente. Vorrei esaminare alcune cose: e nessuno, meglio di lei, potrà espormi lo stato vero in cui esse si trovano.


Egli si volse a guardarmi, come Tobia cieco l’angelo che gli si offre per compagno: ed io sento, infatti, che egli non mi vede con i suoi occhi mortali ma con quelli dell’anima sospesa in un nimbo di speranza sovrumana. Mi afferra per un braccio, quasi pauroso che io debba sfuggirgli, vi si appoggia, si piega sul mio orecchio e parla commosso.

— Venga, venga pure con me. Sono il suo servo.

La sua voce è calda, profonda; una voce di baritono, che mi penetra e mi stupisce, sebbene mi sembri effettivamente un poco teatrale.

— Oh no, — rispondo subito, con un po’ di finzione anch’io; — non dica così: lei è un santo, ed io non sono che un povero peccatore.

Egli non ascolta: il suo pensiero è unico e non può dividersi.

— Le farò vedere subito ogni cosa: lei capirà tutto, perché è un uomo dotto; le cose stesse le spiegheranno, meglio che non possa farlo io, il loro stato e il loro bisogno. Molto inferme, le