Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/131

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sciata dello zio. A vederla ho ricordato le mie parole a suo riguardo, che quasi avevano scandalizzato Paolone: m’è parso, cioè, che ella avesse l’aria fra timida e spavalda di una servetta spensierata e incosciente: la sua presenza sfata le leggende che si raccontano di lei, leggende, del resto, di gente da villaggio che vede il male anche dove non esiste; tuttavia gli occhi furtivi della Paolona, all’ombra del fazzoletto, hanno una luce di perfetta malizia quando ella, dopo aver bussato al mio uscio, dice tutta sorpresa:

— Signor conte, c’è qui la signorina Bellini, che desidera parlarle.

È forse la prima volta che io sento distintamente la voce della mia padrona di casa, e mi fa uno strano effetto: e quel titolo di Conte, che mi appartiene ma che io non ho mai partecipato a nessuno, — poiché veramente lo sento staccato da me come una cosa della quale voglio disfarmi, — mi dà un senso di fastidio, ma anche di allegria carnevalesca.

O quest’allegria tra vera e falsa, forse me la comunica l’entrata in camera mia della signorina Bellini: sì, non più l’Agar fatale della fantasia popolaresca, ma, a giudicarne dagli innocenti occhi, non grandi, limpidi, color nocciola fresca, circondati da una raggiera di lunghe ciglia nere e dorate, la mite e ingenua nipote del par-