Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/163

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vrastanti chine del poggio incoronato di ulivi e di quercioli, c’è un po’ di godimento: ci si può sedere, su questa muriccia, e dominare il paesaggio, giù fino al fiume, e su fino ai poggi di fronte, tutti boscosi, freschi, e in quest’ora felice del mattino, pieni di luce, di voli d’uccelli, di canti d’amore.

Amore, amore. Si sente, si respira l’amore in ogni cosa: la terra è come un adolescente che non ha altro pensiero.

Bisogna dire però che a sinistra dell’orto, dopo un sentiero solitario, si vede la linea funerea dei cipressi del piccolo cimitero; e più oltre la massa verde-scuro del parco Decobra: quindi io cerco di guardare sempre a destra, sopra la parrocchia e la valle. Nel cortile della casa si sentono gridare le oche, e un nugolo di colombi violacei volteggia sopra i tetti. Osservo che una porticina comunica fra il cortile e l’orto; e mi tornano i cattivi pensieri a proposito di Agar. Ma perché? È una ossessione, una forma di tentazione carnale, dalla quale invano tento di liberarmi.

Mi sbaglierò, ma persino padre Leone sente oggi il fermento della primavera: è acceso anche in viso, e i suoi occhi grigi hanno un languore femmineo: mi pare rassomiglino a quelli di Agar: e anche questo è un pensiero suggeritomi dal demonio. Eppure non so vincerlo; e