Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/164

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mentre stiamo seduti sulle pietre della muriccia gli domando se conosce da molti anni don Achille. Egli fa un gesto vago, che delinea il tempo e lo spazio, e comincia a raccontare.

Sì, conosce da molti anni il parroco: sempre amici sono stati: conosceva anche la sorella di lui, morta da poco: Agar però è figlia di un’altra sorella, una contadina madre di quattordici figli.

— Morta la sorella, che badava alla casa, don Achille ritirò la nipote dal convento; ma è una sventata, e per sorvegliare l’orto e la cucina, s’è preso a mezzo servizio la vecchia Rosa, brava a tutto. Suona anche le campane, e, se glielo permettessero, farebbe anche da beccamorti. Per fortuna, qui di morti ce n’è uno ogni tre o quattro anni: salute e vita. Né morti né carcerati. Il brigadiere sbadiglia tutto il giorno, e dice che lo hanno mandato qui in punizione: per fortuna, sì; e anche lui si conforta col nostro vinetto e con le donnine facili: oh, di queste non c’è davvero carestia. Povero don Achille! Dopo la rovina della parrocchia, questa delle donne pagane è il suo martirio. Non si riesce a convertirle: è più facile con le donne della Patagonia. Ma che si può fare? È l’aria.

Alquanto piegato verso terra, egli sputa come un pastore: poi si solleva, i suoi denti brillano al sole; e pare che anche lui voglia abbandonarsi all’ebbrezza di quest’aria meravigliosa.