Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/175

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no, quella notte, l’indomani, tutta la vita. Che voleva dirmi? Che voleva da me?

Accompagnai padre Leone per un pezzo di strada; fino alla villa; tornando indietro mi fermai davanti al cancello del cimitero, mi ci appoggiai come un mendicante stanco; avevo voglia d’inginocchiarmi, di chiudere gli occhi, di dormire, di morire. — Prendimi, prendimi, — dissi alla morta; — sono stanco di questa vita inutile e vile.

I fiori dell’urna, nello spigolo della sua tomba, si erano appassiti, l’odore dei cipressi e della mortella dava all’aria come un sapore di assenzio: lo stesso odore, lo stesso senso di morte mi rigurgitava su dal cuore; e sentivo bene che era, più che altro, un tremito di paura: paura della vita. Ma che aiuto poteva darmi la povera morta che si era stroncata sotto l’impeto di questa medesima paura?

E allora pensai a te, Noemi: tu sola potresti aiutarmi. Perché non lo fai? A che serve la tua vita? Perché non mi salvi?


Sono otto giorni, Noemi, che aspetto invano una tua sola parola. E neppure io so bene quello che voglio da te; non amore, certo, poiché so