Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/177

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saline danno l’idea di grandissime vetrate che coprono misteriosi palazzi sotterranei.

È un palazzo bello e sontuoso, e nello stesso tempo soffuso di una tenerezza che fa bene al cuore: i colori sono tutti di un verde ancora pallido e di un azzurro di cristallo umido di brina: anche il fiume, che in questo tratto raccoglie paternamente i giovanili ruscelli e le fiumane scapigliate dei nostri paraggi, è largo, quieto, silenzioso: riflette il cielo chiaro e le rive scure, e corre dritto al mare come una persona onesta che va per i suoi affari.

Se io riuscissi a mettermi in pace, ad esaurire i miei impegni, a raccogliere e frenare anch’io le vene torbide e tumultuose delle mie passioni, sceglierei per mio soggiorno questi campi lavorati ancora dai bianchi giovenchi, attraversati dalla voce quasi canora dei coloni che aizzano le bestie e sé stessi al lavoro.

Sogni! Intanto la casa dell’ingegnere è proprio nel centro della cittadina, in mezzo al tumulto e alla baraonda del traffico dei giorni di mercato. Tutti gridano, uomini e donne, esponendo la loro merce: i buoi muggiscono, i cavalli sferrano calci, i cani si rincorrono allegramente. Trovo l’ingegnere, che già conosco, a contrattare con una bella ragazza, alta e mora come una beduina: ella vende piccioni di razza, maschi e femmine, e dondola una gabbia di sa-