Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/179

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mi sorrise, schietto e furbo, coi suoi occhi di gazza.

— Scusi, scusi. Lei però potrebbe fare un’opera di grande bene, acquistando la villa; cioè farne un luogo di cura per bambini poveri, un tubercolosario, per esempio.

— Ma come? Prima lei dice che questi sono luoghi salubri, di villeggiatura, e che tutti i contadini affittano le loro case, e adesso mi consiglia di aprire un tubercolosario? Ma dove sono questi bambini malati? Il dottore dice, da noi, se una malattia c’è è quella dell’appetito, tanto che lui se ne va tutti i giorni a caccia, e invece dei cristiani ammazza i poveri uccellini.

— Va bene: ad ogni modo le converrebbe acquistare per sé la villetta. Mi dicono che lei abita in un mulino.

— Fosse un mulino. È ancora peggio. Ma, infine, — esclamo io, che mi divertivo per l’insistenza dell’ingegnere, — lei vuole assolutamente affibbiarmi la proprietà del comune amico Lante. Potrei chiederle il perché?

— Il perché? Anzitutto, appunto perché si è amici, e bisogna, potendolo aiutarsi a vicenda. Antioco non è cattivo: non è, neppure, quello che certi suoi poco benevoli giudici vogliono farlo apparire. È, in fondo, un disgraziato: ha preso dal padre lo spirito avventuroso, dalla madre la natura erotica e passionale ad un tem-