Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/18

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grande appartamento; le vetrate gialle che a loro volta lo dividevano, e quelle dello stesso colore degli usci delle camere, vi spandevano una luce dorata che si rifletteva sulle cassapanche, le cristalliere piene di vasi, di cocci, di oggetti rari, il pavimento a mosaico. Pure a mosaico era il pavimento della sala da pranzo; e qui si respirava addirittura una atmosfera di chiesa; con le antiche credenze di rovere ricoperte di trine, come gli altari, con vasi d’argento e cristallerie di stile; e i vetri smerigliati delle finestre bifore, color d’ambra, che davano una illusione di sole anche se fuori pioveva.

Via, via; la signora Noemi vi scivolò appena, tanto per la solita ispezione, e andò a rifugiarsi in cucina. Nonostante le sue cose meccaniche, tutte laccate, tutte d’un bianco da laboratorio, la cucina era, dopo la camera da letto e il salottino, l’ambiente più vivo e ospitale della casa: tanto che la tavola parve far chiasso e festa, quando Pierina vi depose d’un colpo la sporta campestre della spesa e questa si rovesciò. I pomi rossi e gialli rotolarono per terra, il pacchetto col sale si spaccò.

– Disgrazia, disgrazia, – urla la ragazza, ficcandosi le dita fra i capelli corti; – eppure nelle scale ho incontrato il signore gobbo.

– Zitta; va e finisci le pulizie: qui metto in ordine io.