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Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/186

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chiesa è restaurata, nel nome di lei: e forse, accanto al suo, il nome mio resterà su una lapide. Saremo così, riconciliati, ancora i Signori del luogo, giovani in eterno, felici come il giorno delle nostre nozze. Amen.


Mi riscosse la voce mormorante e commossa di don Achille; egli credeva che pregassi, e questo mio apparente fervore sacro riaccendeva le sue speranze. Mi invitava ad alzarmi, a rientrare nella casa e prendere, col signor ingegnere, una tazza di caffè. Oh, questo scialbo caffè, che Agar prepara così male! E si capisce che lo prepara così perché a lei non piace: ben altri eccitanti le piacciono; eppure ella deve mescolare davvero un filtro alla bevanda, perché basta che mi prenda di mano la tazzina vuota, trovando, per volontà o per caso, il modo di farmi vedere il tremito lieve delle sue dita, perché una scossa elettrica mi attraversi le vene. Osservo, inoltre, che ella ha preso un nuovo aspetto: mi pare sia cresciuta, in questi ultimi giorni, o almeno il suo collo si è allungato e fatto ancora più bianco; sembra quello di una statua greca; certo è dimagrita, e s’è curata molto i capelli, che hanno una lucentezza di rame: e le unghie sono rosee, smaltate. Forse si è data anche un poco di rosso alle