Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/185

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poiché l’ingegnere ha premura di ripartire: del resto egli già conosce tutti i particolari del luogo, e, secondo il suo solito modo di fare, getta un secchio d’acqua sulla trepida esultanza del parroco, dicendo che prima di ogni altra cosa bisogna interessare della faccenda il Sopraintendente dei Monumenti della provincia, poiché solo da questi può dipendere l’avvenire della chiesa.

Non nascondo che questa notizia mi dà un lieve senso di sollievo; ma oramai un po’ tutti mi hanno preso nella rete, e se pure mi ci dibatto dentro come un pesce tirato a riva, prevedo che presto soccomberò. Tanto che mi abbatto sull’angolo di una panca, nella penombra, e faccio un sogno melanconico. Mi vedo, cioè, seduto in questo medesimo posto, in un tempo lontano nell’avvenire: sono vecchio, stanco; ho persino il bastone, al quale mi afferro e appoggio come uno che poco ci vede ed è già tutto raccolto nel suo mondo interno. Mondo che si è sempre più ristretto, che si è fatto come un vortice destato da una pietra buttata in un pozzo: i cerchi da prima tumultuosi dell’acqua si sono placati, e via via dileguano lentamente: rimane solo un punto di luce nel centro delle ultime vibrazioni: tutto il resto è tenebre.

Ma quel punto è l’ultima favilla del mio spirito placato: è ancora luce, forse anche gioia, certamente pace. Pace. Poiché intorno a me la