Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/184

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segnata a vivere per tutta la sua vita nella quiete di quest’angolo di mondo: rivedo i suoi occhi rossi di pianto come quelli di una bambina che per la prima volta capisce il dolore; ed ho rimorso di aver rifiutato di conoscere il segreto che ella voleva confidarmi. Dopo tutto anche lei ha bisogno di aiuto: è una creatura indifesa, alla quale posso fare del bene: e mentre l’ingegnere bussa alla porta della casa, io penso che le vie del Signore sono infinite.


E così, abbiamo finalmente veduto il viso della felicità: e non è il viso di Agar, che pure è tutto corrusco di luci e di ombre; ma quello di don Achille.

Nel ricevere, insieme uniti come due arcangeli apportatori di doni divini, l’ingegnere del Genio Civile e il signor Franci, il buon parroco pare colto da delirio; dice cose sconnesse, e la sua voce ha il mugolio di spasimo delle donne che parlano all’amante. Alla domanda del mio compagno, di farci vedere la chiesa, egli prova, evidentemente, quasi un senso di timore, quell’arcano timore del risveglio dopo un sogno troppo bello: insomma, egli spera tutto dalla nostra visita, ma ha paura d’illudersi un’altra volta.

Ad ogni modo si va subito a veder la chiesa,