Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/203

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za chiedergli niente, non solo, ma senza mai fargli sapere il mio amore, contenta di saperlo felice con Pia. Io mi sarei fatta monaca. Ecco perché, signor Franco, le ho detto che le volevo bene ancora prima di sapere ch’ella esistesse.


Si fermò: aveva finito? Io tacevo, cupo, diffidente, fermo come il cacciatore che aspetta il passaggio della vittima. Sì, una vittima doveva esserci, quella mattina; mi sentivo ribollire tutto, per la profanazione sacrilega che, mi pareva, Agar faceva della povera morta, per quel suo dilaniarne quasi freddamente la memoria, col suo mischiarsi incauto e sfrontato alla sua vita, e così anche alla mia. Era forse un modo di legarmi, di attaccarsi a me come alle sue trecce: e questo appunto tornava ad allontanarmi da lei, anzi a disgustarmi sopra ogni cosa. Dicevo fra me:

«Aspetta un po’, e vedrai che legata sarai tu, come una piccola tigre».

Le cose ch’ella infatti mi disse, furono per me molto crudeli; ma il ferito e l’incatenato rimasi io.

Dopo aver con gesto deciso buttato di nuovo indietro le sue trecce, riprese dunque, con calma:

— Non creda che io voglia parlar male della sventurata Pia: anzi, la difendo. Era tanto in-