Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/204

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felice, più infelice, più misera e sola di me. E indifesa. Aveva paura di tutto, mentre io ero e sono coraggiosa. Aveva paura dell’acqua, del vento, delle suore: aveva anche la mania dei ladri: sentiva sempre rumori che gli altri non sentivano. E voleva bene solo al padre, perché infelice anche lui; ma il padre non sapeva, non poteva difenderla. So che egli aveva questioni terribili con la moglie, a proposito della povera Pia; e voleva la si ritirasse in casa, ma donna Dionisia non acconsentiva, ed egli si accasciava e si lasciava vincere. Lei sa che, in fin dei conti, i Decobra sono poveri: non hanno che la villa e qualche castagneto: i milioni sono della signora Dionisia; e lei è la padrona di loro tutti. Pia lo sapeva; e odiava la madre; e per dispetto, per disperazione, perché l’avevano messa in convento, non credeva neppure in Dio. Questa è stata la sua maggiore disgrazia: del resto non ci credo neppure io; ma io sono forte, rassegnata, e amo la vita. Se occorre mi farò anche suora; ma morire no. Di quello solo ho paura; della morte, del freddo, del buio. Allora la mia amica diceva: ci sposeremo, finalmente, e saremo libere. Sì, poteva sposarsi lei, che aveva una grossa dote; ma io? Io, ripeto, pensavo a quello che sarebbe stato il suo sposo, e mi contentavo di questo sogno. Ma una volta, dopo le vacanze, ella mi confidò di un suo amore se-