Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/233

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cedeva già: una di quelle deviazioni del destino che mutano di un colpo il corso di un’esistenza.

E il campanello squillò, lieve, quasi timido, eppure insistente: come quella volta.

— Ah, no, questa volta non si apre davvero, in casa mia.

Ferma e tesa stette ad ascoltare: il campanello non suonò oltre, ed ella si rassicurò, ma non poté riprendere riposo. Sentiva che qualcuno era sempre davanti alla sua porta, e l’aspettava. Più che inquieta, sdegnata, si alzò, uscì nel corridoio, e si mise anche lei ad origliare piegata sul catenaccio ben chiuso della porta. Ed ecco le scoppiò sul viso, come un petardo innocuo, un nuovo squillo del campanello: questa volta era la realtà; ed ella non aveva paura della realtà.

Socchiuse: la realtà era lì, dietro la sbarra grigia dell’apertura del battente, nella figura alta e grossa della signora Giulia, tutta lucida nel cappotto di raso nero ondulato di frange e svolazzi: il cappellino bianco alla moda, sui capelli neri oleosi di cattiva tintura, rendeva più grottesco il suo grande viso rosso bitorzoluto, col naso costellato di puntini neri: ma ogni cosa era rischiarata e quasi cancellata dal viso buono dai grandi occhi di perfetto colore azzurro.

Era, sì, la realtà; ma accanto, per un baleno,