Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/272

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— Mi dica, signor Lante; crede lei proprio che l’ingegnere Franci riesca a restaurare la chiesa?

Egli spalancò gli occhi; li richiuse: era come se una porta si fosse d’improvviso spalancata davanti a lui, rivelandogli un interno eguale a tanti altri, che egli invece aveva immaginato di cose straordinarie e quasi misteriose.

— Se vuole, certo; i denari non gli mancano. È però un po’ confusionario, romantico e debole; si lascia facilmente rimorchiare dalla fantasia, e dal calcolo degli altri, il che è peggio, per mancanza di volontà propria. Io, per esempio, nella questione dell’argine, mi sarei piantato nell’anticamera del Ministero, e l’avrei spuntata. Non che sia un’opera eccessivamente necessaria per il paese: abbiamo vissuto tanti secoli con la fiumana, e potremo viverci ancora; ma si tratta di una volontà, sia pure anch’essa sentimentale, di una persona cara, e si doveva compiere.

— Si può ancora compiere, — disse Noemi; e l’altro ne provò dispetto. A sua volta continuò a demolire il ricordo del Franci come doveva esistere nel cuore della donna.

— Sarà difficile; credo di conoscere abbastanza l’ingegnere Franci: ho l’impressione che egli si crei un’esistenza fittizia, che si creda vittima di una fatalità inesistente, di una persecuzione del